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Mark Rothko
le lacrime della pittura
Per Rothko l’arte possiede un’intima sacralità. Attinge all’origine della vita e della storia, è espressione di trascendenza, è attesa dell’Assoluto.
Certo è che l’arte di Rothko ha un suo cammino di progressiva essenzializzazione che non riguarda solo l’aspetto stilistico, ma che attiene al senso stesso della sua opera e della stessa arte. Nel tempo i cromatismi perdono ogni frangia o sfumatura dei sensi rapportati alla realtà e si pongono nudi al cospetto dell’infinito. Alcune opere conclusive, soprattutto i neri, i colori scuri comunque uniformi, sono la testimonianza non di una povertà di espressione sopraggiunta nel tempo della crisi ma di una personale sintesi del linguaggio maturata sul filo di una ricerca estrema, drammatica e definitiva.
Rothko ha puntato, come si è scritto, lungo il suo cammino d’artista, a due obiettivi: il primo inerente al valore comunicativo dell’arte intesa come luogo del dialogo tra l’opera e lo spettatore; il secondo più intrinseco all’opera stessa, percepita come espressione originaria di un altrove imprescindibile e misterioso.
Riguardo al primo obiettivo, l’opera è universo che esiste in funzione dell’osservatore, è pensata dall’artista perché esso ne faccia parte e possa compiervi un’avventura d’anima. Sicché l’intera esperienza dell’artista è tesa a predisporre tale avventura. Lo spettatore è chiamato a essere in qualche misura comprimario non della redazione dell’opera ma di un comune progetto spirituale.
Il secondo obiettivo riguarda invece il senso del viaggio dentro l’opera e implicitamente il suo originario significato, come avvertimento ed esplorazione di quell’oltre a cui tendono i sensi e l’anima. Una rilettura del cammino artistico di Rothko può essere in tal senso interessante, dando riprova del dramma umano e spirituale del maestro. Il significato dell’opera di Rothko si esemplifica nell’ultimo grande e significativo lavoro del maestro, la Cappella di Houston.
«Mi insegna a librarmi in alto», scrive commosso. È con questi sentimenti e con una tensione psicologica estrema che l’artista si accinge a lavorare. È un’avventura che assume il tono di un’esperienza religiosa. Fu lo stesso Rothko a dichiararlo. Commentando l’effetto che i dipinti della cappella avevano sul pubblico, disse: «Quando [i visitatori] piangono davanti ai miei quadri vivono la stessa esperienza religiosa che ho vissuto io quando li ho dipinti». Anche il clima della cappella, concentrato e mistico, al di là della scelta di una iconografia aconfessionale, pare restituire «un versante religioso che porta l’artista a semplificare tutto, quasi cercasse il dio unitario della Bibbia contro ogni vitello d’oro». Di fatto la teologia monoteista e Jung furono i suoi pilastri.
Jenny Holzer, Truism. Protect me
from what I want, 1988-
La lunga tradizione della presenza di lettere, numeri, parole e frasi nelle opere dei cubisti, dei dadaisti, dei futuristi, dei suprematisti e, più recentemente, della pop art, dell’arte concettuale e dell’arte digitale si trasforma, con la Holzer, in un intervento diretto nel corpo stesso della città concepita come un gigantesco supporto materiale su cui incidere parole e frasi di apparente senso compiuto. L’azione di guerriglia aperta dall’artista americana, in ciò diretta erede dello sciamano degli anni Settanta, il tedesco Joseph Beuys, ha per l’appunto la finalità sociale di far esplodere la contraddizione insita nell’infinita rete di messaggi e di informazioni che decorano il volto metropolitano. I "truismi" s’illuminano di luce sinistra, ammiccando alla perdita definitiva, nella notte metropolitana, di tutti i possibili "altruismi", che avrebbero potuto costituire un sistema profondo di relazioni anche nella più terribile delle condizioni umane di sopravvivenza.
Christian Boltanski
È noto soprattutto per le sue installazioni artistiche, anche se lui stesso ama definirsi pittore, pur avendo da tempo abbandonato questo ambito. Il suo lavoro artistico è pervaso dal tema della morte, della memoria e della perdita, per questo numerosi sono le creazioni di memoriali degli anonimi e di chi è scomparso.
Boltanski cerca di emozionare attraverso tutte le espressioni artistiche che usa: foto, film, video. I temi principali delle sue opere sono la memoria, l'infanzia, l'inconscio e la morte. Utilizza vari materiali come vecchie fotografie, oggetti trovati, cartone, plastilina, lampade, candele...
Una delle peculiarità di Boltanski è la sua capacità di ricreare momenti di vita con oggetti che non sono mai appartenuta a lui, ma che egli considera come tali. Egli immagina una vita, si riappropria di oggetti e tutti i suoi file, libri e collezioni sono depositarie di ricordi dal forte potere emotivo. Le opere di Boltanski evocano il ricordo dell'infanzia e quello dei propri morti, una storia personale come la storia di tutti. Nel 1972 intitola una sezione della sua mostra mitologia individuale, un concetto molto rappresentativo della relazione di Boltanski con l'autobiografia.
Boltanski ha messo in evidenza in alcuni dei suoi video le sofferenze patite dagli ebrei durante la Seconda guerra mondiale: essi esprimono senza parole l'orrore della guerra. L'assenza è un tema ricorrente nel suo lavoro: i video come le foto sono "presenze", ricordi che fanno rivivere gli assenti.
Christian Boltanski è membro di Narrative Art, un movimento che rivendica l'uso della fotografia anche senza testo: il loro rapporto deve essere un rapporto mentale.
Boltanski cerca di emozionare attraverso tutte le espressioni artistiche che usa: foto, film, video. I temi principali delle sue opere sono la memoria, l'infanzia, l'inconscio e la morte. Utilizza vari materiali come vecchie fotografie, oggetti trovati, cartone, plastilina, lampade, candele...
Una delle peculiarità di Boltanski è la sua capacità di ricreare momenti di vita con oggetti che non sono mai appartenuta a lui, ma che egli considera come tali. Egli immagina una vita, si riappropria di oggetti e tutti i suoi file, libri e collezioni sono depositarie di ricordi dal forte potere emotivo. Le opere di Boltanski evocano il ricordo dell'infanzia e quello dei propri morti, una storia personale come la storia di tutti. Nel 1972 intitola una sezione della sua mostra mitologia individuale, un concetto molto rappresentativo della relazione di Boltanski con l'autobiografia.
Boltanski ha messo in evidenza in alcuni dei suoi video le sofferenze patite dagli ebrei durante la Seconda guerra mondiale: essi esprimono senza parole l'orrore della guerra. L'assenza è un tema ricorrente nel suo lavoro: i video come le foto sono "presenze", ricordi che fanno rivivere gli assenti.
Christian Boltanski è membro di Narrative Art, un movimento che rivendica l'uso della fotografia anche senza testo: il loro rapporto deve essere un rapporto mentale.
Yves Klein
Molte delle sue prime opere furono dipinti monocromi, in diversi colori. Realizzò più di mille tavole in sette anni. Il suo intento era quello di utilizzare i singoli pigmenti puri, in modo che il colore non perdesse la luminosità una volta unito ad un legante. Non era solo una questione estetica, ma anche un fatto concettuale, la ricerca di una corrispondenza intima con la misura umana. Nel 1955 iniziò ad utilizzare come fissativo, un prodotto chimico chiamato Rhodopas e solo così, secondo l'artista, il colore poteva acquisire una vita propria ed autonoma divenendo un individuo evoluto. Ben presto sentì l'esigenza di abbandonare lo studio delle diverse nuances per concentrarsi su un'unica tinta, il blu,che doveva unificare il cielo e la terra e dissolvere il piano dell'orizzonte. Fu nel lt 1956 che creò "la più perfetta espressione del blu", un oltremare saturo e luminoso, privo di alcuna alterazione, poi da lui brevettato col nome di International Klein Blue (IKB, =PB29, =CI 77007), che però non venne mai prodotto.
In un'altra sua opera performativa vendette spazi vuoti in città in cambio di oro puro. Voleva che gli acquirenti sperimentassero Il Vuoto: l'unico modo di pagare questa esperienza era, secondo lui, solo il materiale più puro, l'oro. Per poi riequilibrare l'"ordine naturale" da lui sbilanciato con la vendita del "vuoto", Klein gettò l'oro così ottenuto nella Senna.
Klein è anche noto per la sua fotografia, Saut dans le vide (Salto nel Vuoto)[3], che lo mostra mentre apparentemente salta giù da un muro, con le braccia tese al pavimento. Klein usò la fotografia per dimostrare il suo "volo lunare", che spesso menzionava. "Saut dans le vide" venne pubblicata come parte di un attacco portato da Klein alla NASA, che avrebbe dovuto dimostrare che le spedizioni lunari erano hýbris e follia.
I lavori di Klein giravano intorno ad un concetto influenzato dallo Zen, che definiva come "le Vide", il Vuoto. Il Vuoto per Klein è uno stato simile al lt nirvana, senza influenze materiali, un'area dove entrare in contatto con la propria sensibilità, per vedere la realtà oltre la rappresentazione. Klein usò per presentare queste filosofie forme di espressione universalmente riconosciute come arte -
I lavori di Klein si riferiscono ad un contesto teoretico/artistico e ad uno filosofico/metafisico: l'opera d'arte consisteva nel combinarli entrambi. Klein mirava a far provare al pubblico la sensazione di far percepire e capire un'idea astratta.